L’Italia coloniale che faceva studiare gratuitamente i rampolli libici a Roma

convitto Vittorio Emanuele II a Roma-studenti-libiciTra la fine degli anni ’30 e l’inizio dei ’40, il governo italiano decise di ospitare gratuitamente alcuni sudditi delle colonie negli istituti scolastici e nelle università della Penisola.
L’iniziativa, nata allo scopo ufficiale di elevare “culturalmente” gli africani*, portò in Italia una piccola pattuglia di rampolli del notabilato libico, tra i quali Shifau e Ahmed Cherbish (figli di quel Yussuf che nel 1937 aveva consegnato a Mussolini la “spada del’Islam”), Abdullatif Kikhia, Abdullatif Kikhia (Kikhia e el-Seqizli appartenevano al clan di quello che sarebbe stato il primo ministro di Re Idris I nell’immediato dopoguerra) e Mohamed Khaled.
Ospiti del Vaticano, a Roma, erano invece trentadue studenti del Corno d’Africa.
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King_Idris_I_of_LibyaSebbene l’Italia fosse a quel tempo sotto un regime dittatoriale e avesse una legislazione segregazionista (le leggi razziali), sarà interessate notare come il nostro Paese abbia ad ogni modo consentito a sudditi non-bianchi e provenienti dal Continente Nero l’accesso ad un’istruzione superiore.
Inoltre, pur tenendo sotto controllo i giovani ospitati dal Vaticano, non intraprese mai iniziative apertamente ostili ed ostruzionistiche nei loro riguardi.
Un’esperienza impensabile solo fino a pochi decenni fa in nazioni democratiche e occidentali come gli USA o l’Australia della “color line”.
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di © Davide Simone – Tutti i diritti riservati
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NOTA
secondo alcune interpretazioni, Roma voleva in realtà creare e plasmare una élite filo-italiana
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